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Ora di cataclismi per i saloni

Al via l’ultima edizione in gennaio della fiera ginevrina, dal 2020 si coordinerà con Baselword. Gli espositori disertano per gli alti costi e investono in una strategia di marketing più continua.
Per la 29. volta si sono aperte ieri le porte del salone ginevrino dell’alta orologeria (SIHH). Fino a giovedì 17 gennaio, 35 marchi, di cui 18 case storiche e 17 marchi boutique, si sono installati a Palexpo. Sono attesi circa 20.000 visitatori come per la passata edizione, in un momento in cui il settore orologiero è in trasformazione e il concetto stesso di salone come evento internazionale per attirare i clienti ha subito parecchi scossoni. Si tratta questa infatti dell’ultima edizione in gennaio per il SIHH: dal 2020 l’appuntamento si terrà ad aprile (26-29), seguito immediatamente da Baselword (30 aprile -5 maggio).

Il 2018 si è rivelata una buona annata per gli orologi svizzeri, che ha visto una crescita delle esportazioni di circa il 7% tra gennaio e novembre e una franata a fine anno. Le prospettive per il 2019, ci conferma Oliviero Pesenti, presidente dell’Associazione ticinese dell’industria orologiera, vedono ancora un leggero rallentamento ma all’insegna della continuità della crescita. «Soffre maggiormente la gamma d’entrata, costretta a confrontarsi con un’enorme concorrenza internazionale – spiega -. La fascia media e di lusso invece si sono riprese abbastanza bene, in media ci aspettiamo un esercizio sulla falsariga del 2018».

Ma se la meteo degli affari sembra puntare sul sereno, e una conferma o eventuale smentita arriverà proprio dal bilancio di SIHH, non si può ancora dire lo stesso per gli eventi fieristici di settore.

L’estate scorsa, l’annuncio del ritiro di Swatch da Baselword aveva acceso una vera e propria polveriera. Il gruppo guidato da Nick Hayek, con un portafoglio di 18 marchi, era espositore a Basilea fin dal 1917. All’annuncio shock sono seguiti a ruota quelli di marchi come Maurice Lacroix, Corum e Raymond Weil. Neppure Ginevra è stata risparmiata da un’emorragia di adesioni. Oltre al gioielliere Van Cleef & Arpels (Richemont) hanno lasciato Audemars Piguet, Richard Mile e la stessa Raymond Weil, che, come ha spiegato ieri il CEO Elie Bernheim, preferisce «osare un nuovo approccio, avvicinarsi al cliente e sviluppare la presenza digitale».

«Le avvisaglie del terremoto c’erano da anni – commenta Pesenti – la colpa è anche degli organizzatori che fino all’ultimo hanno fatto orecchie da mercanti». Ma se da una parte i costi per partecipare sono diventati esorbitanti (gli espositori più grossi come Swatch stanziavano 50 milioni di franchi per ogni edizione di Baselword), dall’altra il settore si trasforma e i marchi decidono di investire diversamente nel marketing. «Durante le grandi fiere potevo consacrare solo una quindicina di minuti ai partner. Quest’anno, durante il periodo del SIHH, li invitiamo per diversi giorni al fine di presentare le nostre collezioni. È previsto anche un seminario di 48 ore per raccogliere le loro osservazioni», ha spiegato ad esempio Elie Bernheim. Swatch da parte sua, ai ferri corti con gli organizzatori della fiera renana ha annunciato già quest’anno un evento esclusivo a Zurigo per i suoi clienti esattamente durante le date di Baselword. «È un ragionamento che fanno molti marchi, ecco perché temo altri abbandoni – prosegue Pesenti -. L’e-commerce permette una personalizzazione degli ordini in tutto il pianeta e costringe ad una produzione flessibile e just-in-time. È chiaro che anche il modo di comunicare con il cliente cambia drasticamente perchè si cerca un contatto il più possibile continuo e diretto». Il rischio, continua, è che se i saloni non riescono più ad attirare gli espositori, l’orologiero elvetico perda due eventi di riferimento a livello mondiale.

La crisi riavvicina le rivali storiche

Proprio per tornare ad essere attrattive, via Swatch, le rivali ginevrina e basilese hanno deciso di deporre le armi e tornare a coordinarsi. Baselword era nata un secolo fa come fiera per saponai e casari, prima di diventare il salone di gioielli e orologi. Il SIHH invece deve la sua esistenza all’allora patron di Cartier e attuale amministratore esecutivo del gruppo Richemont Alain-Dominique Perrin, che già allora tacciava il salone di essere arrogante e scortese. «Alla fiera dell’orologeria di Basilea, abbiamo mangiato male, dormito male, non siamo riusciti ad accogliere adeguatamente i nostri clienti negli stand! Nel 1990 ho deciso di lasciare e aprire il mio salone l’anno successivo a Ginevra», aveva dichiarato. Fino a dieci anni fai professionisti dell’orologeria di tutto il mondo passavano direttamente dal Reno a Lago Lemano nel giro di dieci giorni. Poi ci fu la rottura definitiva quando Basilea non volle più dare le date in anticipo e il SIHH decise di anticipare le sue date a gennaio, costringendo i visitatori a tornare in Svizzera nel giro di poche settimane. L’anno scorso tuttavia, con la perdita di Swatch e di quasi la metà degli espositori (passati da 1.300 a 600 in un anno) l’urgenza di una terapia è emersa in tutta la sua evidenza. «Anche se i nostri due eventi sono sempre stati diversi, ma complementari, era imperativo trovare questa concomitanza di date», ha dichiarato Fabienne Lupo, presidente e CEO della Fondation de la haute horlogerie, che organizza la SIHH. «È nell’interesse del nostro settore fare nuovamente della Svizzera una destinazione chiave, facilitando l’arrivo di rivenditori, clienti e giornalisti nello stesso periodo». «Negli ultimi tre anni, il SIHH ha iniziato a cambiare – ha continuato -. Non è più un salotto privato, strettamente riservato a rivenditori e giornalisti. L’abbiamo aperto ai collezionisti, al grande pubblico e ai nuovi media, per farne una piattaforma di comunicazione, un forum e un laboratorio di alta orologeria», Da vedere, se tutto ciò basterà a tranquillizzare gli espositori rimasti e magari convincere i «disertori» a ritornare.

Fonte: www.cdt.ch