La riforma III delle imprese non è un semplice esercizio di sgravi fiscali o come i contrari vogliono far credere in maniera fuorviante “un regalo miliardario alle aziende”, ma una necessità assoluta che andrà a premiare gli investimenti nell’innovazione e nella ricerca, indispensabili per mantenere la competitività della nostra economia.
Il mondo è in una fase di trasformazione epocale mai vista dal dopoguerra a oggi. Assistiamo infatti ad una recrudescenza dei nazionalismi con esiti imprevedibili e pericolosi per le sempre più deboli democrazie occidentali. Una lenta ma inesorabile fine della globalizzazione, che ha favorito la crescita economica e il benessere della gente in questi ultimi decenni, e che ci obbliga ad un ripensamento profondo delle dinamiche imprenditoriali e del coinvolgimento delle parti sociali. I segnali di questi cambiamenti sono sotto gli occhi di tutti; gli Stati Uniti d’America, dopo essere stati per molti decenni i garanti dello sviluppo economico e della stabilità politica internazionale, hanno imboccato l’“America first!”. L’Europa di sta sgretolando sotto i colpi dei nazionalismi e delle divisioni. Il Regno Unito ha dichiarato ufficialmente che dopo l’uscita dell’EU diventerà il più grande paradiso fiscale del mondo, diventando super attrattiva per gli insediamenti economici e industriali e così via…
Con questi chiari di luna i nostro paese deve assolutamente difendere la propria identità e la competitività della propria economia. Il momento è troppo importante; mettiamo da parte dunque velleità di marketing partitico e lavoriamo insieme tutti per salvaguardare il benessere della nostra popolazione.
La Svizzera appartiene al club molto invidiato a livello mondiale di “campioni delle innovazioni tecnologiche”. Questa leadership verrebbe fortemente minacciata con il rifiuto della riforma, in quanto assisteremmo ad una massiccia rinuncia nella ricerca e dunque nell’innovazione.
Un grave errore che non ci possiamo permettere
Se il nostro paese è oggi uno degli Stati più prosperi del pianeta è grazie alla sua capacità di creare, di innovare, di anticipare gli eventi e di proporre soluzioni tecniche e tecnologiche che altri non hanno. Questa capacità di innovazione la troviamo a tutti i livelli della nostra economia, ma in particolare presso le grandi aziende, o i grandi gruppi (soprattutto quelle che sono a beneficio di uno statuto fiscale concordato) i quali, grazie ai loro mezzi decisamente superiori, investono massicciamente nei diversi settori trainanti della nostra industria chimica, farmaceutica, alimentare, meccatronica e, non da ultimo, nelle energie rinnovabili che cambieranno il mondo di domani. Di questi investimenti ne beneficiano in larga misura anche le nostre PMI e in particolare le start-up.
La riforma permetterebbe di assicurare ai nostri giovani diplomati e laureati delle condizioni favorevoli che permetteranno loro di rimanere in Svizzera per valorizzare le loro competenze.
Per continuare a realizzare tutto ciò, abbiamo bisogno di aziende visionarie che credono nel nostro territorio e che sappiano prendere dei rischi a sostegno di tutto il nostro comparto produttivo.
Oggi, il 30% dei brevetti depositati in Svizzera provengono dalle imprese straniere insediate sul nostro territorio e a beneficio di una fiscalità concordata. Un no alla riforma il prossimo 12 febbraio potrebbe indurre un gran numero di essere a lasciare il nostro paese in quanto, contrariamente a quanto sostenuto dai contrari, le “qualità” offerte dal nostro paese, quali stabilità politica, qualità di vita, poca burocrazia, ecc., non sono più sufficienti per fare la differenza in confronto all’accresciuta necessità di competitività dei prodotti e dei servizi sui mercati internazionali. Queste partenze genererebbero inevitabilmente perdite pesanti di posti di lavoro (per il Ticino si parla di ca. 3’000 posti persi) e sulle entrate fiscali per la Confederazione e per i cantoni (ca. 160 Mln per il Ticino). Perdite indiscutibilmente più elevate dei costi generati dalla riforma.
Questa riforma è dunque inevitabile se vogliamo mantenere la nostra sovranità economica e se riteniamo giusto riservare un trattamento fiscale equo per tutte le imprese, conformemente agli standard internazionali. Certo, questa riforma creerà in un primo tempo una leggera diminuzione delle entrate fiscali, ma rifiutarla equivale a ipotecare pericolosamente la nostra capacità a conservare un alto livello di sviluppo tecnologico, sinonimo di lavoro e benessere per tutta la popolazione. Dire no significa chiamare alla cassa le cittadine e i cittadini tramite nuove imposte e lo stato tramite tagli alle prestazioni.
Non lasciamoci influenzare o condizionare da slogan ideologici o dogmatici che impoveriscono il dibattito e non portano soluzioni. Votiamo SÌ il prossimo 12 febbraio alla riforma III delle imprese.
Oliviero Pesenti
Presidente A.T.I.O.
Associazione Ticinese Industrie Orologiere