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Intervista al Presidente Oliviero Pesenti – L’orologeria stringe i denti nell’attesa di un vaccino

INDUSTRIA / A causa della crisi globale la gamma meno costosa subisce maggiormente la pressione della concorrenza internazionale – Grazie agli aiuti di Berna contenuti i licenziamenti e i fallimenti
Oliviero Pesenti: «Temiamo per il 2021 e fare business nel post pandemia non sarà più come prima»

Tra i tanti settori che stanno per concludere un annus horribilis c’è indubbiamente anche quello orologiero. Il quale tuttavia, pur nelle difficoltà sta facendo profonde riflessioni sui cambiamenti strategici di lungo termine da mettere in atto, così da trovarsi pronto non appena il virus sarà finalmente sotto controllo. Intanto però l’obiettivo principale è contenere i danni il più possibile anche nel 2021, sia in termini di affari che sul fronte dell’occupazione, dopo un 2020 che ha visto un crollo delle esportazioni stimato tra il 25% e il 30%. «Purtroppo la situazione è nota – ci spiega Oliviero Pesenti, presidente dell’Associazione ticinese  dell’industria orologiera -. Con l’instabilità globale in corso, tutti stanno male, anche la fascia di alta gamma, che pure resiste grazie alla buona tenuta dell’economia in Cina. In Europa sulle vendite pesa moltissimo il crollo del turismo asiatico, più dei vari lockdown. In Medio Oriente pesa il basso prezzo del petrolio. Non aiutano i disordini a Hong Kong o la Brexit. Inoltre il franco resta forte. L’unica nota positiva è che la discesa generale al momento sembra essersi finalmente fermata». Delle tre gamme, è maggiormente sotto pressione quella di entrata. Secondo una statistica pubblicata dalla Federazione svizzera degli orologi (FH) negli ultimi vent’anni i volumi esportati degli orologi tra i 200 e i 600 franchi si sono praticamente dimezzati a 11,6 milioni. «Si tratta di un trend che dura da anni – prosegue Pesenti -. Gli orologi connessi hanno rimpiazzato il 90% degli orologi al quarzo, che hanno sempre rappresentato volumi importanti per le esportazioni svizzere, circa la metà. Sono fatti in Cina, Giappone, USA. E crescono esponenzialmente: nel 2019 sono stati commercializzati 30 milioni di Apple Watch, in tutta la Svizzera all’anno vengono prodotti circa 18-20 milioni di orologi».

Nonostante alcune iniziative isolate, come quella lanciata di Tissot o da Tag Heuer nella fascia di prezzo più alta, gli smartwatch e gli orologi con funzioni fitness di origine svizzera sono ancora rari. «Molte aziende che producevano orologi al quarzo si stanno convertendo agli orologi meccanici di alta gamma – continua Pesenti . Ma anche qui la pressione è forte, con cali di vendite nell’ordine di due cifre percentuali».

Occupazione sotto pressione
La crisi si sta facendo sentire anche a livello occupazionale. A fine settembre, stando ai dati dell’Associazione dei datori di lavoro dell’industria orologeria, il settore contava 57.550 dipendenti in tutta la Svizzera,
cioè 1.553 in meno (-2,6%) nel confronto annuale. Il calo è limitato soprattutto grazie allo strumento del lavoro ridotto. Dal punto di vista geografico, il più colpito è stato il Cantone di Neuchâtel, che con 15.099 dipendenti occupa il maggior numero di addetti nel settore dell’orologeria in Svizzera, con un calo degli occupati del 5,1%, ovvero di 810 unità. «Purtroppo anche in Ticino ci sono stati dei licenziamenti – continua Pesenti. Alcune aziende hanno pure dovuto chiudere nonostante gli aiuti della Confederazione – lavoro ridotto e crediti COVID – abbiano aiutato moltissimo. Ora però si teme molto per il 2021. Infatti solo il mercato cinese sta andando bene. È quindi urgente portare la situazione pandemica sotto controllo, sperando nel vaccino, per poter tornare a respirare. Ci sono aziende che stanno stringendo i denti all’inverosimile per non perdere collaboratori e per non chiudere i battenti».

In ogni caso, conclude Pesenti, la pandemia lascerà dei segni indelebili sul settore. «Fare business non sarà più come prima. Bisognerà rivedere le strategie, le modalità di vendita, la comunicazione. Non ci sono più fiere internazionali e neanche le due stagioni annuali. Il che significa che la produzione deve essere ancora più reattiva e vicina alle richieste del mercato. Per la comunicazione invece un gioco fondamentale lo giocheranno i giovani».

Corriere del Ticino 17.12.2020