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Sull’industria orologiera pesa la rigidità normativa

AITI / A «Dentro l’industria» si è parlato di legge sull’innovazione, salario minimo e formazione Oliviero Pesenti: «Ci penalizzano il costo della manodopera e le difficoltà nel reperire personale qualificato»

Gian Luigi Trucco

«Una multinazionale sparsa sul territorio cantonale»: così Oliviero Pesenti, presidente dell’Associazione ticinese industria orologiera (ATIO), ha definito il ruolo di questo comparto, in occasione della 27. edizione di «Dentro l’industria», gli incontri promossi dall’AITI fra politici ed amministratori con le realtà industriali del nostro cantone, a Giubiasco presso il Centro di formazione del settore orologiero. Hanno partecipato Christian Vitta, responsabile del DFE, il consigliere agli Stati e presidente di AITI Fabio Regazzi, una rappresentanza di granconsiglieri ed esponenti delle istituzioni pubbliche.

Due tendenze opposte

L’evoluzione del settore, ha indicato Pesenti, mostra due tendenze di segno contrapposto. Oggi l’attività va oltre l’assemblaggio tradizionale di meccanismi e quadranti e si effettuano lavorazioni di eccellenza sia su pezzi al quarzo che meccanici, su casse e bracciali, nonché nella lavorazione delle materie prime come l’oro. Ma vi sono anche problemi, considerato che rispetto agli anni 2014-2015 gli addetti sono diminuiti di 500 unità ed alcune aziende hanno cessato l’attività. Pesano il costo della mano d’opera e la difficoltà nel reperire personale qualificato per un settore che vive profonde trasformazioni sia tecnologiche che di mercato, in un contesto concorrenziale sempre più agguerrito.

Il centro di formazione di Giubiasco, nato nel 2014, svolge una vasta gamma di corsi tecnici, commerciali e specialistici, per attività in cui l’artigianalità si fonda con le tecnologie più avanzate, ad esempio nel campo della micromeccanica. Il tutto «per creare emozioni e bellezza» ha affermato Pesenti, il quale ha respinto la tesi secondo cui si assumerebbero frontalieri per pagare salari inferiori, ricordando anche l’incidenza
del cambio sull’export così come l’importanza di fattori contingenti,
ad esempio i recenti disordini scoppiati a Hong Kong, tradizionale mercato per l’orologeria svizzera. Circa il futuro, robotizzazione ed automazione saranno un complemento di quelle attività, ha detto Pesenti, per le quali l’effetto di sostituzione è tuttavia impensabile, vista la natura di queste lavorazioni, il ruolo della manualità e degli apporti creativi.

Le problematiche aperte

Tuttavia, ha indicato Vitta, il settore orologiero ticinese è spesso stigmatizzato per i bassi salari, inferiori alle mediane nazionali, e per la forte presenza di lavoratori non residenti. Questi fattori sono stati al centro della tavola rotonda, in cui si è discussa la legge sull’innovazione (LInn), valida in principio e potenzialmente destinata ad accrescere la competitività, ma penalizzante per l’industria orologiera ticinese, visti i «criteri killer» (così li ha definiti Vitta) che adotta in termini di percentuali di frontalieri e di altri parametri. Per i manager dell’ATIO e per lo stesso Regazzi, sarebbe auspicabile una maggiore flessibilità e qualche correttivo, considerato che anche queste aziende investono massicciamente nell’innovazione (oltre 200 milioni di franchi nel 2018).

Sud delle Alpi

La fotografia del settore

I numeri

Il settore orologiero ticinese conta oggi 45 aziende con 2.900 addetti. Sono 8 milioni circa i pezzi assemblati in un anno, prevalentemente per le maggiori marche elvetiche, ed il 30% di quanto realizzato viene esportato. Il volume annuo del comparto è di 450 milioni di franchi, e rappresenta il 10% di tutto il settore industriale del Cantone. La componente femminile nella mano d’opera è del 50%, ma la percentuale di domiciliati sul totale degli addetti non raggiunge il 20%, con un differenziale di salario rispetto alla mediana svizzera particolarmente elevato.

Altrettanto delicato il tema del salario minimo che, se applicato rigidamente potrebbe causare contraccolpi imprevedibili e portare a delocalizzazioni di attività. Pesenti ha ricordato come, all’indomani della nascita di ATIO, l’Associazione abbia avviato trattative per giungere alla stipulazione di un contratto collettivo, incontrando tuttavia l’opposizione delle controparti sindacali.

Anche sulla formazione necessitano interventi, è stato rilevato da parte aziendale. Il Centro attua una formazione permanente specialistica ma risulta carente la formazione di base rispetto ad altre realtà, fra cui quella della Lombardia, cui spesso le aziende ticinesi sono costrette a rivolgersi per le figure professionali di cui necessitano.